Nel momento in cui ci è stato assegnato il progetto di Sea Watch, tutte e tutti noi abbiamo avuto un moto di entusiasmo, ma anche un po’ di timore. Finalmente potevamo dedicarci a un tema che ci stava molto a cuore, ma allo stesso tempo ci spiazzava l’idea di dover affrontare un argomento così impegnativo e delicato. Il tema della migrazione è diventato centrale in questi ultimi anni, venendo spesso affrontato sull’onda dell’emozione (in seguito a una delle tante tragedie in mare) o secondo una logica più ideologica e politica: il risultato è una polarizzazione che lascia i dati sullo sfondo.

Abbiamo avuto diversi incontri, con un’alternanza di fasi divergenti e convergenti, al fine di arrivare a definire un’idea progettuale e soprattutto come svilupparla e implementarla. La mole di dati a cui attingere e la diversità delle fonti ci ha messo in difficoltà nel trovare una chiave di lettura unificante delle diverse sfaccettature.

Il risultato finale è “In viaggio con Sea Watch”, storia interattiva  e viaggio metaforico narrato dal punto di vista di potenziali attivisti e attiviste che scelgono di prendere parte alle missioni delle navi della ONG nel Mediterraneo Centrale.

Questa storia ha assunto la forma di un libro-game data driven, in un continuo rimando tra dataset, ricerche, letture e narrazioni, che potrà essere fruita anche attraverso dei caroselli Instagram per diversificare il potenziale comunicativo.

Il libro è formato da 4 capitoli, navigabili anche in forma non lineare e con rimandi a collegamenti esterni per approfondimenti.Il primo capitolo racconta l’inizio della nostra storia: il porto di partenza, cioè il cantiere navale di Burriana. Questa sezione presenta le navi Sea Watch 3 e Sea Watch 4, per poi arrivare ad analizzare quali fattori ritardano o impediscono l’avvio di una missione di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo Centrale.

Fondamentale il contributo di Sea Watch Italia nelle persone di Giacomo Zorzi, Andrea Massera e Rachele Giorgi, che ci hanno fornito dati e ci hanno orientato nell’intricato panorama di politiche e procedimenti amministrativi che ostacolano l’intervento della società civile.

Abbiamo messo a fuoco 4 delle misure più ricorrenti che interessano tanto le navi in sé, quanto i membri dell’equipaggio. Nello specifico:

  1. Il Port state control, ossia Controllo dello stato di approdo. Si tratta ispezioni normalmente indirizzate a navi commerciali non battenti bandiera italiana, a cui possono seguire
  2. i fermi amministrativi. Nel grafico sono rappresentate le durate dei fermi e dei sequestri delle diverse navi di ONG operanti del Mediterraneo Centrale tra il 2017 e il 2021;
  3. Ipotesi di accusa a carico dei membri dell’equipaggio, in prevalenza capitani, capitane e capi missione. Tuttavia secondo i dati della European Agency of Fundamental Rights le indagini sono state nella quasi totalità archiviate;
  4. infine, gli standoff in attesa di sbarco, ossia i giorni che le navi ONG devono attendere dopo aver fatto richiesta di porto sicuro alle autorità italiane.
Made with Flourish

Nel secondo capitolo abbiamo allargatolo sguardo alle politiche europee.

Abbiamo inserito i dati forniti da Sea Watch  sulla linea del tempo delle politiche italiane ed europee in tema di migrazioni, recuperando i dati di UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e di IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

Negli ultimi anni, queste politiche hanno invertito il loro scopo, passando da quello di soccorrere le persone in mare a quello di impedire l’arrivo delle persone sul territorio europeo. Ciò è evidente anche andando a vedere le due missioni europee che adesso sono attive nel Mediterraneo Centrale, che hanno tra gli obiettivi principali l’addestramento e il finanziamento della cosiddetta guardia costiera libica, che è stata accusata di gravi violazioni dei diritti umani.

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Si tratta di un elemento di contesto importante per leggere il calo degli arrivi in Italia delle persone migranti a partire da metà 2018: le persone migranti che non sono arrivate in Italia, sono rimaste in Libia o hanno tentato il viaggio per mare, e solo una parte di esse è stata registrata nella categoria “persone disperse”, in quanto l’attività in mare delle ONG era rallentata da una campagna mediatica che – in modo del tutto infondato – le criminalizzava.

Successivamente, abbiamo cercato i dati sui paesi di provenienza delle persone migranti a livello europeo, per vedere come siano cambiate le nazionalità di origine nel tempo, tra il 2014 e il 2021, esprimendoli in percentuale per tenere conto della variazione degli arrivi nel corso del tempo.

Made with Flourish

Nel terzo capitolo, ci siamo concentrati su due concetti utili per la lettura del fenomeno e delle sue criticità maggiori, ovvero zona sar e luogo sicuro.

La nostra attenzione si è concentrata sulla zona sar libica, le modalità e le motivazioni che stanno alla base della sua creazione Abbiamo poi preso in esame l’aspetto legato alle ricognizioni aeree, provando a confrontare le finalità opposte che regolano lo svolgimento di tali attività da parte di Sea Watch e Frontex (e quindi l’Unione Europea): salvataggio contro sorveglianza.

Tenendo conto dei dati forniti da Sea Watch, abbiamo dedicato dei passaggi al ruolo della comunicazione del fenomeno in Italia, dove l’atto di solidarietà della società civile si è trasformato in narrazione accusatoria nei confronti delle ONG. Grazie ai dati abbiamo smontato alcuni dei principali luoghi comuni intorno al fenomeno migratorio, come i cosiddetti pull factor.

Un elemento fondamentale per capire il ruolo di Sea Watch in questo contesto sono quindi stati sempre loro: i dati grezzi raccolti dai volontari, a cui abbiamo dedicato il quarto capitolo. Qui abbiamo provato a pulire e sistematizzare i numeri sui salvataggi effettuati dalla ONG tra il 2015 e dicembre 2021. Ciò ci ha permesso di evidenziare una delle chiavi comunicative su cui è costruito l’intero progetto: un vuoto di responsabilità che le associazioni umanitarie cercano di riempire con i propri mezzi. Infine, una piccola parte è dedicata alle vittime e delle persone scomparse in mare: un tema molto complesso, che abbiamo voluto toccare per completare il quadro e sottolineare ancora una volta l’enorme complessità dei numeri sulle migrazioni nel Mediterraneo. 

Sia nel libro-game che nei caroselli Instagram abbiamo incluso una call to action finale, che offre ai lettori uno strumento in più per sentirsi parte della missione di Sea Watch (dalle semplici donazioni alla possibilità di contribuire con il volontariato, anche online). Questo chiude la narrazione lasciando una soluzione di continuità, con una consapevolezza maggiore del fenomeno ma anche la speranza di prendervi parte nei limiti delle proprie possibilità.

Progetto a cura di:

Flavia Politi

Gianmaria Vergani

Michele Grassilli

Sabrina Moles

Il video di presentazione di tutti i lavori di gruppo è sul nostro canale Youtube.