Lo scorso aprile, a due mesi dalla pandemia, lo studio Pentagram di cui è socia anche l’information designer italiana Giorgia Lupi ha rifatto le slide del governatore dello stato di New York Andrew Cuomo trovando un modo migliore di rappresentare i numeri dei contagi e delle vittime.
Questi i grafici usati dal governatore:

Il team di Lupi ha cercato di arricchire la presentazione di questi numeri fornendo più contesto, umanità e lasciando spazio all’incertezza.
L’idea che dietro ogni dato, ogni numero ci sia “umanità” è proprio il fondamento del data humanism di cui Giorgia Lupi si è fatta portavoce disegnandone il manifesto e parlandone in numerose occasioni pubbliche.
Osserviamo qui la slide riassuntiva con le vittime: invece di scrivere il numero nero su bianco, Pentagram ha provato a dare dignità a ogni vita persa in un determinato giorno rappresentandola con un puntino nello spazio, e l’idea funziona molto bene:

L’uso dei “puntini” per rappresentare le vittime della pandemia è stato ampiamente utilizzato in questi mesi, forse anche abusato, arrivando al culmine con il triste record dei 500mila morti negli Stati Uniti la scorsa settimana: Reuters li ha usati in questa timeline interattivache racconta l’anno trascorso dal primo caso, accumulando puntini lungo la pagina, e scroll dopo scroll si formano piccoli ammassi di punti con alcune interruzioni testuali sugli avvenimenti chiave di questi 12 mesi. Siamo proprio sicuri che mentre la pagina scorre quel cumulo di puntini resti impresso nella nostra mente come un tributo alle vittime?
Poi c’è il Washington Post che punta tutto a spiegare come immaginarsi cinquecentomila persone morte. Facciamole viaggiare su un bus, magari così capite che vuol dire, ah sì, sono 9804 bus che messi in strada coprirebbero un percorso di 94,7 miglia. Oppure pensate se fossero sepolte al Arlington National Cemetery, anzi, mettiamole nel Vietnam Veterans Memorial.
Mentre scorriamo la pagina che svela queste metafore vorremmo dire “fermi tutti”, stiamo parlando di vittime. È proprio necessario questo viaggio immaginario per quantificarle nella testa?

E ancora: il New York Times ha messo i suoi cinquecentomila puntini in prima pagina, con un rettangolo ripieno che si intensifica negli ultimi mesi della pandemia. Ci sono state reazioni entusiaste nel mondo del data journalism e del design, con molti complimenti al team della redazione statunitense.

Anche qui, un po’ di domande: questo tipo di lavoro è stato più utile a far parlare
1) dei dati 2) del lavoro del giornale o 3) della tragica perdita?
Grazie a una segnalazione di Matteo Moretti ho trovato su Twitter un thread che esprimeva le mie stesse perplessità, in particolare quella dell’efficacia di ridurre la vita umana ad un puntino accumulato su altri 499mila (di tutto il thread c’è una traduzione italiana qui a cura di Danilo De Rosa – tw).

Cosa vedo in quella pagina? Un insieme di dati che rappresentano persone accomunate dal fatto di aver perso la vita a causa di una pandemia.
Ma è a questo che serve la data visualization? O per farci vedere cose che altrimenti sarebbe impossibile capire?
Non solo vedere, ma percepire, introiettare. Eleviamo l’impersonificazione dice uno dei principi del data feminism. Cioè, facciamo sì che le persone davvero sentano vibrare in sé il significato di quello che abbiamo scoperto guardando certi numeri. E che quel significato le porti ad agire, a cambiare i propri comportamenti o a chiedere leggi, diritti, nuove elezioni…
Diverso è stato l’approccio con i “memoriali digitali” aperti da alcune testate, anche in Italia, per commemorare le vittime: nomi e cognomi, foto, ma anche frasi lasciate dai familiari possono fornire un senso, una densità al dato in sé, che produce molto più impatto. Oppure, nella semplicità, era stata una buona scelta quella di riportare i nomi delle vittime in prima pagina.
Altri “esperimenti“
È giusto sperimentare con questi dati? Il virus del covid ha letteralmente ricoperto designer e analyst di fogli di calcolo da usare per proiezioni, dashboard, visualizzazioni artistiche, tentativi di data sonification, e molto altro. Ci sono i dati, ci provo.
Cosa stiamo maneggiando? Cosa sono questi numeri?
A volte non c’è il tempo di fermarsi su queste domande. Altre volte invece dovrebbero essere tutta la struttura del nostro lavoro.