Quante sono le donne dietro la macchina da presa in Italia? Quante di loro scrivono sceneggiature per le maggiori case di produzione? E chi detiene il potere di decidere quali rappresentazioni della società devono arrivare sugli schermi di milioni di italiani e italiane?

Ci siamo fatti aiutare da Marina Pierri, critica televisiva, autrice del libro Eroine (Tlon edizioni), per capire perché la rappresentazione televisiva e cinematografica della nostra società influenza anche il nostro agire, il nostro pensiero e il nostro linguaggio.

Siamo partiti da una questione che abbiamo affrontato più volte qui sul magazine e sulla newsletter: in una società plurale come la nostra, per capire se la televisione e il cinema italiano rispecchiano i principi di diversità e inclusione – per esempio quelli adottati dall’Academy per i suoi premi Oscar – servono i dati. Ma questi dati non ci sono ed è un problema: “what gets counted, counts“, ciò che viene conteggiato conta, come ha ribadito Joni Seager ed è poi stato ripreso in Data feminism (di cui abbiamo parlato qui).

Non esistono report o studi in Italia che ci possano aiutare a inquadrare il problema. Cosa possiamo fare noi?

Contribuire raccogliendo i counterdata, termine che si riferisce a tutti quei “contro-dati” che offrono una visione alternativa rispetto a quella dei dati ufficialmente raccolti, per esempio conteggiando ciò che non viene altrimenti considerato nelle statistiche istituzionali. Continua a leggere per scoprire come partecipare a questa #dataninjachallenge.

L’invisibilità che protegge il privilegio, anche in tv

di Marina Pierri

Negli anni Settanta George Gerbner ha coniato la definizione di annientamento simbolico per testimoniare il potere della rappresentazione: quel che è mostrato esiste, ha un nome e un diritto di cittadinanza nel dialogo collettivo; quel che non è mostrato resta nell’ombra, nella pancia di una società che rifiuta di portare una selezione di identità e storie alla luce in maniera programmatica. 

Caroline Criado Perez ha scritto un libro sulle “Invisibili”, le donne ignorate in ogni campo, dall’informatica all’urbanistica, dai videogiochi alla medicina. Non ci sono dati disponibili sui corpi, le abitudini e i bisogni femminili, denuncia la giornalista britannica.

L’invisibilità è il margine di controllo con cui il sistema protegge il suo stesso privilegio, evitando di mettere in evidenza quanto potrebbe risultare in una crisi di valori, una messa in discussione dello status quo, un intaccamento nella definizione di realtà che si desidera dare e su cui si presuppone che tutte le persone concordino. Una società basata sul modello patriarcale, abilista e performativo non ha dunque alcun interesse nel mostrare i suoi limiti, i confini di quel che costituisce vantaggio per quello stesso modello e svantaggio per un numero di realtà che non vorrebbero o potrebbero aderire a quel modello. 

Quando si parla di rappresentazione si pensa alle narrazioni dei fatti di cronaca sui quotidiani, ai contenuti e alle forme pubblicitarie, a tutte le manifestazioni del capitale simbolico con riferimento all’assetto sistemico che si vuole preservare e rinforzare anche tramite quelle manifestazioni. In questo momento storico non è tuttavia pensabile prescindere dal potere delle storie per i piccoli schermi: le serie tv, disponibili su decine di emittenti e piattaforme digitali on demand. Questo tipo di storie sono in grado di comunicare messaggi complessi a un vasto pubblico. Hanno quindi il potenziale di mettere in discussione pregiudizi e smantellare luoghi comuni. 

Tutto questo, però, può avvenire a una condizione: dare voce, attraverso la scrittura, produzione e rappresentazione, a chi altrimenti rimane ai margini di questi processi.

Fonte: UCLA Diversity Report 2020 (Donne sceneggiatrici nel 2019 a confronto con gli uomini)

Per esemplificare il potenziale delle serie TV, poniamo che uno studio di produzione audiovisiva decida di realizzare – cosa quasi mai avvenuta in Italia, e raramente negli Stati Uniti – una storia per la tv che veda protagonista una donna con disabilità volenterosa di mettere in luce il suo grado di oppressione e assenza di privilegi essenziali, negati dall’assetto sociale abilista. Si tratterebbe di un ottimo traguardo, ma non sufficiente se a produrre, scrivere e mettere in scena quella storia fossero esclusivamente persone non disabili, l’annientamento simbolico non sarebbe comunque completo, né legittimo. La storia di quella donna con disabilità sarebbe di fatto utilizzata e sfruttata da chi figura già in posizione di vantaggio, con minimo beneficio e,anzi, ulteriore espropriazione ai danni di chi non è stata messa nelle condizioni di mantenere il controllo nel narrare la propria storia. Questo stesso esempio può essere immaginato pensando alle donne con corpi non conformi, alle persone nere e di colore, a chi pratica una religione che non sia quella cristiana, a chi non aderisca ai dettami eteronormativi e/o allosessuali, o non si conformi al binarismo di genere o anche semplicemente alle donne. Queste, per quanto non una minoranza numerica, continuano a rimanere ai margini nell’accesso ai poteri economici e creativi dell’industria audiovisiva.

Fonte: UCLA Diversity Report 2020 (Persone appartenenti alle minoranze con ruoli da protagonisti nel 2019)

Se ci concentriamo sul mercato statunitense, ci sono una varietà di report che raccontano delle disparità e delle disuguaglianza nell’accesso ai processi decisionali nella rappresentazione audiovisiva, come il Diversity Report annuale dell’Università della California a Los Angeles (UCLA). In Italia, invece, non esiste lo stesso mercato, né la stessa cultura. 

È per questo che con Dataninja stiamo lanciando la nuova #DataninjaChallenge: aiutaci a mappare chi è dentro e chi è fuori i processi di produzione delle serie TV che tutti noi guardiamo.

Come partecipare alla challenge


Abbiamo deciso di procedere per gradi, iniziando a chiedere il vostro aiuto per individuare chi sta a capo dei processi decisionali dietro le serie TV più popolari. Abbiamo individuato 28 studi di produzione, per ciascuno dei quali ti chiediamo:

  1. Di scoprire chi copre uno di questi tre ruoli: fondatori/fondatrici o chair(wo)man, managing director e head of development.
  2. Per ognuna delle persone individuate, ti chiediamo di segnalarne il sesso (uomo/donna/altro). 

Lo sappiamo: si tratta di una classificazione molto limitante: sarebbe bello e necessario andare oltre il sesso e raccogliere dati anche sul genere, etnia e molto altro per poter fare un discorso solido sulla “diversità”. Raccogliere questi dati però sarebbe anche spinoso: sono i diretti interessati e le dirette interessate che dovrebbero scegliere come auto-classificarsi e crediamo dunque che limitarsi al sesso sia un modo per compiere un, seppur limitato, passo in avanti nel misurare il livello di diversità senza ledere il diritto all’auto determinazione. Facci sapere che ne pensi!

Qui sotto trovi il link per compilare il questionario e segnalarci i dati (compilalo una volta per ogni persona che intendi segnalare). In basso, anche il foglio di calcolo per vedere il progresso di questa raccolta dati e valutare che informazioni mancano.

La data di scadenza per partecipare alla challenge è il 2 dicembre 2020.

Cosa si vince: per questa fase della challenge la persona che inserisce più dati, accurati ottiene un corso gratuito sulla Dataninja School. Ricorda che per ogni persona “mappata” dovrai compilare il modulo (se vuoi aggiungere i dati di 3 persone di 1 studio cinematografico dovrai compilare il form per 3 volte; se vuoi mappare un altro studio dovrai ricompilare il modulo. Ogni compliazione del modulo corrisponde a una riga del foglio di calcolo).

Per consultare i dati raccolti finora guarda questo foglio di calcolo.