Ovvero: tutte le mappe sono delle menzogne, ma alcune sono più veritiere di altre.

Se ci segui, avrai notato che le mappe sono un po’ la nostra ossessione: ne abbiamo parlato più volte nel blog (qui e qui, per esempio); su Twitter e nella newsletter; sono ovviamente parte del corso Data Visualization; e ci abbiamo dedicato addirittura un webinar intero

Se ci segui, avrai anche capito che la nostra ossessione per le mappe nasce dalla loro potenza e, allo stesso tempo, pericolosità: possono essere delle ottime alleate nella comunicazione dei dati, ma sono complesse sia da fare e che da leggere. 

“Ogni mappa è una menzogna” (cit. Alberto Cairo). Ma non per questo vanno evitate. Anzi. 

Alcune menzogne sono utili e ci aiutano a capire fenomeni complessi, altre sono in malafede e ci ingannano. Nelle mappe elettorali le possibilità di sbagliare sono moltiplicate dal fatto che, oltre ai soliti dilemmi che attanagliano chiunque crei una mappa, ce ne sono altri, dovuti alla necessità di comunicare dati in tempo reale, incerti e legati a calcoli probabilistici. 

In questo articolo faremo una panoramica veloce delle strategie comunicative scelte da diverse redazioni per comunicare i risultati elettorali USA a partire dal 3 novembre 2020. 

Questa è una tradizionale mappa elettorale USA, con i vari stati colorati di rosso o di blu in base a una vittoria dei repubblicani o dei democratici.

Fonte: Widget con mappa elettorale di Google, su dati Associated Press del 12 Novembre 2020

La classica mappa elettorale è quindi una mappa coropletica: una mappa in cui regioni dello spazio, per esempio i vari stati USA, assumono colori diversi in base ai dati riferiti a quell’area. Queste mappe così comuni hanno però uno svantaggio: le aree geograficamente più vaste sono anche visivamente più preponderanti e quelle più piccole addirittura quasi invisibili, indipendentemente dall’importanza che ricoprono. Nella mappa sopra, il rosso del Montana (MT) non ha ai nostri occhi lo stesso peso dell’azzurro del Massachusetts (MA). Eppure la vittoria in Montana ha portato solo 3 voti elettorali ai repubblicani, mentre quella in Massachusetts 11 voti elettorali ai democratici.

La classica mappa elettorale coropletica quindi ci informa su chi ha vinto nei vari stati, ma non ci dice molto di più e anzi, distorce l’effettiva importanza dei vari stati che ci appare determinata dalla loro area geografica, e non dai dati. Per ovviare a questo problema, diverse redazioni hanno scelto di affiancare a questa mappa tradizionale delle soluzioni alternative.

Nota: le successive mappe di questo articolo mostrano i risultati aggiornati, sono uno screenshot del 4 – 8 Novembre 2020.

1. Il cartogramma

I cartogrammi di vario tipo normalizzano la componente spaziale. Per esempio, pensando alla mappa elettorale USA, ci sono diverse opzioni per fare un cartogramma che non tenga conto delle dimensioni geografiche dei vari stati:

  • Tutti gli stati vengono rappresentati come quadrati con la stessa area.
  • Ogni stato è composto da tanti quadrati quanto i suoi abitanti (es. un quadrato ogni 100mila abitanti), oppure da un unico quadrato tanto grande quanto i suoi abitanti.
  • Ogni stato è composto da tanti quadrati quanto il suo peso per le elezioni (es. un quadrato ogni grande elettore assegnato), oppure da un unico quadrato tanto grande quanto i suoi grandi elettori.

Al Jazeera, per esempio, ha deciso di includere nella sua homepage sia la mappa tradizionale, che un cartogramma, lasciando a chi legge la scelta di cosa visionare. È una buona scelta perché, anche se i cartogrammi sono più corretti nella rappresentazione dei dati, sono comunque delle visualizzazioni che richiedono un livello di visual literacy più alto rispetto alla mappa classica.

Fonte: la soluzione di Al Jazeera: possibilità di scegliere se visualizzare i dati su una mappa geografica o cartografica, cioè un cartogramma con un esagono per ogni grande elettore. Notiamo come in quest’ultima il Montana (MT) scompaia rispetto al Massachusetts (MA).

La scelta di presentare i dati con un cartogramma dei voti dei grandi elettori è comune a molte altre testate giornalistiche, la maggior parte delle quali, come Al Jazeera, ha proposto il cartogramma come visuale alternativa alla mappa geografica tradizionale. Bloomberg e il Wall Street Journal invece hanno deciso di mostrare solo il cartogramma.

Fonte: da in altro a sinistra, le mappe di Bloomberg, New York Times, Politico, NZZ, Der Spiegel, e il Wall Street Journal.

Altre testate infine hanno optato per un cartogramma, anche se strutturato diversamete. Il cartogramma di Repubblica, per esempio, ha rappresentato ogni stato con un unico quadrato, tanto grande quanto i suoi voti elettorali. Reuters invece ha scelto un cartogramma con un quadrato per ogni stato, di dimensioni fisse. Sia Repubblica che Reuters hanno presentato comunque la mappa geografica classica come visuale di default.

Fonte: la mappa elettorale di Repubblica (sinistra) e Reuters (destra)

Tra i vari cartogrammi visionati, un compromesso interessante è quello scelto dal Financial Times. Non è propriamente un cartogramma, ma una mappa geografica e questo la rende facilmente leggibile. Allo stesso tempo però non è l’area dei vari stati ad essere colorata, evitando così l’effetto distorcente delle mappe coropletiche.

Fonte: Financial Times.

2. La mappa a simboli proporzionali

Dopo l’elezione di Trump nel 2016 è diventata virale la seguente animazione, accompagnata dalla dicitura “non sono gli ettari che votano, sono le persone” e diventata emblema della fallacia delle mappe coropletiche. La mappa mostra come la tradizionale mappa coropletica, fortemente suscettibile alla vastità dei territori, ci parli di “un’ondata repubblicana” esagerando la percezione del consenso ottenuto da Trump. Una mappa a simboli proporzionali che tenga conto della popolazione e della quantità di voto popolare ottenuto da repubblicani e democratici invece riduce notevolmente la grandezza percepita della vittoria di Trump.

FonteTry to impeach this? Challenge accepted! di Karim Douïeb

Le mappe a simboli proporzionali è una mappa in cui un simbolo (per esempio il cerchio) è associato a un punto nello spazio (per esempio il punto centrale di una contea, o di uno stato)  ed è tanto più grande quanto i dati associati a quel luogo. È una mappa che risolve il problema legato alle mappe coropletiche ed è stata utilizzata come mappa alternativa da diverse redazioni. Forse memori della mappa animata precedente, molte testate giornalistiche hanno scelto di proporre anche una mappa a simboli proporzionali del voto popolare 2020, come il Guardian e il New York Times.

Fonte: la mappa elettorale del Guardian (sinistra) e del New York Times (destra)

In tutti i casi queste mappe sono state presentate come alternative e secondarie, e a ragione. Negli Stati Uniti infatti il presidente non è eletto direttamente dagli elettori, ma dal collegio elettorale. Se questo tipo di mappe sul voto popolare dunque ci illuminano sulle preferenze del paese, non offrono direttamente informazioni su chi sta vincendo le elezioni – cosa che in genere ci interessa in maniera principale. Ed è questa infatti una critica possibile allo slogan associato alla mappa animata delle elezioni 2016: è vero, non sono gli ettari che scelgono il presidente, ma non sono nemmeno le persone. Sono i grandi elettori. (Ti consiglio questo articolo del National Geographic per capire perché sia così)
Per questo il Guardian propone anche una mappa a simboli proporzionali, con i simboli graduati sulla base dei grandi elettori, così come ha fatto anche l’Economist, che l’ha addirittura scelta come mappa predefinita, rinunciando del tutto la tradizionale mappa coropletica.

Fonte: Economist

3. Una mappa per comunicare il cambiamento nel tempo

Diverse testate hanno proposto delle mappe per mostrare il cambiamento nel tempo: come stanno votando gli americani nel 2020 rispetto a come hanno votato nelle elezioni precedenti.

Non sorprende che Fox News, fedelissima a Donald Trump (o forse ex-fedelissima?), si cimenti in questo confronto con il passato, riproponendo la già incriminata mappa coropletica delle contee che nel 2016 hanno votato Trump.

Fonte. Fox News

Una scelta interessante è quella del New York Times, che attraverso il colore, direzione e lunghezza delle frecce associate a ciascuna contea mostra a colpo d’occhio come ciascuna nel 2020  si sia spostata più verso i repubblicani o verso i democratici rispetto al 2016.

Fonte: New York Times

4. Riflessioni conclusive

La prima cosa che si può notare è che quasi tutte le redazioni si sono discostate dalla tradizionale mappa elettorale, attraverso piccole o grandi variazioni in grado di restituire sfaccettature ai dati comunicati. Questo suggerisce come le diverse testate giornalistiche abbiano recepito (o addirittura partecipando direttamente) i principali dibattiti che animano la discussione tra la comunità della dataviz, in particolare quelli che riguardano la rappresentazione dello spazio geografico e la comunicazione dei calcoli probabilistici e dell’incertezza (ma a quest’ultimo punto dedicheremo un articolo in futuro).

La seconda considerazione, legata a questa, è come la presenza di queste mappe alternative presuppone un pubblico che è anch’esso sempre più “alfabetizzato nella comunicazione visiva” (visual literate). Le mappe presentate sono infatti spesso complesse e di lettura non immediata.

Una terza constatazione, in linea con i due punti precedenti, è che le redazioni sembrano assumere un ruolo educativo attivo nel rispetto della visual literacy dei propri lettori. Proponendo più mappe, di diversi livelli di complessità, offrono una guida ai lettori sulla complessità del lavorare e presentare i dati, facendo loro toccare con mano le diverse implicazioni di rappresentare gli stessi dati con sistemi visivi diversi. E questa è una gran bella cosa.