Attenzione: l’articolo è stato scritto il 19 febbraio 2020 e non verrà aggiornato con nuove notizie sui contagi, in quanto lo scopo del pezzo è dare consigli su come approcciarsi criticamente ai dati. Su questo tema abbiamo pubblicato un nuovo pezzo a firma di Alessio Cimarelli (26 marzo 2020). Non è nostra intenzione fornire informazioni aggiornate sul coronavirus. Se stai cercando invece aggiornamenti verificati sul coronavirus, ti invitiamo a consultare il sito del Ministero della Salute.
I dati non ci interessano finché non ci riguardano da vicino: è il caso della nostra salute e le ricerche su Google della parola “coronavirus” indicano che siamo MOLTO preoccupati dall’epidemia. Secondo Google Trends l’’Italia è infatti il settimo paese al mondo con il più alto indice di ricerche e, tra le città mondiali, Roma occupa il 5 posto per interesse di ricerca del termine. Persino durante le semifinali di Coppa Italia del weekend scorso, la mole di ricerche sul coronavirus è stata circa la stessa che per “Coppa Italia”.
Tra stampa e social, il materiale per colmare questa ansia di sapere certo non manca. Ma quantità non è sinonimo di qualità e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato di essere preoccupata da quella che si sta configurando come una vera e propria “infodemia” (infodemic in inglese): diffusione su scala globale di virus informazioni pericolose, tra sensazionalismi e vere e proprie teorie del complotto.
Siamo in un momento in cui i dati sono ancora parziali e di difficile interpretazione, nemmeno gli esperti sentono di potersi sbilanciare nel fornire stime certe sulla pericolosità del virus e sui suoi sviluppi futuri. In inglese c’è un famoso detto “In God we trust, all others bring data” (Di Dio ci fidiamo, tutti gli altri portino i dati). Mi sentirei di aggiungere che anche ai dati qualche domanda va sempre fatta, prima di fidarsi ciecamente.
1. Che cosa si sta misurando?
Una delle fonti più autorevoli e immediate per tenere sott’occhio la diffusione del virus è la dashboard costruita dalla John Hopkins University. La dashboard aggrega dati da fonti autorevoli (OMS, CDC, ECDE…) per mostrare il numero di casi totali, di decessi, di guarigioni, di nuovi casi al giorno e la distribuzione geografica dei casi accertati.
Chi ha guardato i dati il 13 febbraio può aver avuto un piccolo attacco d’ansia: il grafico ha mostrato un aumento senza precedenti del numero dei casi di contagio accertati. Che stava succedendo, ci si stava incamminando verso una pandemia dal contagio incontrollabile?
Come ha prontamente segnalato Giovanni Maga su Facebook, niente di tutto ciò. Il picco è dovuto non a un aumento dei casi reali, ma a un aumento dei casi confermati conteggiati nel grafico, ovvero a un mutamento nella metodologia di raccolta dati. Prima di quella data, venivano considerati come confermati solo i casi valutati con test diagnostico di laboratorio, una procedura avviata solo per i casi più gravi, data anche la scarsità dei kit. A seguito di pressioni, la Cina ha iniziato a includere tra i casi confermati anche quelli non sottoposti a test in laboratorio ma diagnosticati sulla base dei sintomi: il numero dei casi confermati in data 13 febbraio è dunque molto più alto non solo perché include situazioni nuove, ma soprattutto perché include anche situazioni prima non conteggiate nei dati.
Se ti interessa, qui trovi un articolo del New York Times che spiega nel dettaglio come la Cina sta conteggiando i casi di contagio.
2. Che cosa manca?
Come il punto precedente ha mostrato l’importanze di chiedersi che cosa è incluso in un conteggio, è vero anche il contrario: bisogna domandarsi anche che cosa ne è escluso. Per esempio, questa è la mappa che mostra la diffusione dei casi di contagio nel mondo.
Come puoi vedere, tutto il Sudamerica e, con l’esclusione dell’Egitto, tutta l’Africa sembrano immuni dal coronavirus. Ma il fatto che non vi siano casi confermati, e dunque conteggiati nei dati, non vuol dire affatto che non vi siano casi, o addirittura decessi, per il coronavirus in queste zone. Diagnosticare correttamente un caso di coronavirus richiede un’infrastruttura sanitaria che non tutti i paesi hanno: ora molti stati africani si stanno preparando ad affrontare l’epidemia, ma fino alla settimana scorsa soltanto Senegal e Sudafrica avevano i laboratori per svolgere i test necessari alla conferma dei casi.
3. Cosa scopriamo andando oltre i “punti”?
Sia il grafico a linea che la mappa visti sopra rappresentano gli infetti come dei punti quasi anonimi. Restituendo complessità alle storie dei singoli infetti o dei decessi siamo in grado di capirne un po’ di più. Molti dei decessi sono avvenuti in pazienti che presentavano già altre condizioni di cattiva salute, come diabete o malattie al cuore. Inoltre, come fa notare Andrea Capocci, guardando l’età dei decessi ci si accorge che “l’80% dei morti è over 60”, ovvero una fascia della popolazione che probabilmente presenta un sistema immunitario più debole. Tra gli over-80 il tasso di letalità del virus è 14.8%, contro lo 0.2% per chi è nella fascia di età 10-39.
4. Cosa ci dice il passato?
Un buon esercizio è sempre quello di mettere in prospettiva il caso presente con altri del passato o di altre aree geografiche. Qui ci viene in aiuto il New York Times, che ha messo a confronto letalità e tasso di contagio di diversi virus (notare che l’asse delle y è in scala logaritmica, quindi accorcia le distanze tra i casi più estremi). L’ebola e il vaiolo ci dovrebbero preoccupare decisamente di più in quanto a tasso di mortalità, mentre il morbillo per il tasso di contagio.
5. Ma cosa vuol dire “pericoloso”?
Le epidemie sono una cosa complessa, come sa anche qualsiasi persona abbia giocato al videogioco Plaugue: non conta solo il tasso di letalità, ma anche quello di contagio. Quante persone è in grado di contagiare ciascuna persona affetta dal virus? Una letalità al 2% ha un impatto ben diverso se il virus riesce a contagiare 1 000 persone al mese che se ne contagia 1 000 000. Gli scienziati stimano che ogni persona contagiata ne possa poi a sua volta contagiare tra le 1.5 e le 3.5. Può sembrare una differenza minima, ma in realtà è d’impatto. Le seguenti animazioni, elaborate dal New York Times, mostrano la velocità di contagio di un virus che infetta 2.6 persone per ogni contagiato e di un virus che ne infetta 1.3 (come l’influenza stagionale).
Oltre alla letalità e velocità di contagio conta anche il tasso di guarigione e le notizie degli ultimi giorni sembrano promettenti: il 19 Febbraio il numero di nuovi casi di guarigione ha superato il numero di nuovi casi confermati.
In aggiunta a ciò, serve tener conto di altri fattori, come la resistenza del virus ai fattori atmosferici – che succederà all’arrivo delle temperature più calde, scomparirà o diventerà stagionale? – e l’efficacia delle misure di contenimento messe in piedi dai vari Paesi.
Ma quindi, sta per scoppiare Armageddon o possiamo stare tranquilli?
Sembra troppo presto per trarre conclusioni certe su come si diffonderà il coronavirus: non si hanno certezze sui casi totali, mentre all’inizio c’era incertezza sul fatto che il virus si potesse diffondere anche attraverso pazienti asintomatici ora alcuni studiosi hanno dimostrato che sarebbe possibile, ma non sappiamo infine se il sorpasso delle guarigioni giornaliere sui nuovi casi continuerà nel tempo.
Quello che si può dire è che la situazione è sicuramente grave in Cina, in particolare nella provincia Hubei e nel suo capoluogo Wuhan, focolaio del virus. Al momento invece il rischio attuale per l’Italia, e per l’Europa, è molto basso, soprattutto per le persone in salute: lo dice l’OMS.
In uno splendido pezzo, la cui lettura è fortemente consigliata, il South China Morning Post guarda nel dettaglio i casi al di fuori della Cina, i cui numeri sono contenuti e presentano comunque per lo più buoni tassi di guarigione. Il “paese” con più contagi e meno guarigioni è la nave da crociera “Princess Diamond”.
Anche se non vi sono ancora casi confermati in Africa, dovrebbe preoccupare molto un’eventuale epidemia del virus in stati africani con un’infrastruttura sanitaria inadeguata a rispondere all’emergenza, o le cui strutture sono già aggravate da altri virus come l’ebola.
In questi tempi di incertezza è sempre bene osservare i dati con sguardo critico, ma questo spesso non basta a capire tutto il quadro. Per questo consiglio di affidarsi a chi è in grado di stare sul pezzo e allo stesso tempo raccontare con parole chiare la complessità che ci circonda. Per le notizie sul coronavirus, oltre agli account social dell’OMS, seguite le bravissime Roberta Villa e Cristina da Rold, che con intelligenza straordinaria filtrano il mare di notizie per fornire dei punti saldi su cui orientarsi.
Se invece hai intenzione di creare visualizzazioni dati sul coronavirus, ti consiglio di leggere prima quest’ottima guida, in inglese, con 10 punti da tenere a mente prima di approcciarsi a dati così complessi: “Ten Considerations Before You Create Another Chart About COVID-19” di Amanda Makulec.