Negli ultimi giorni è diventata virale quest’immagine di forte impatto visivo che mostra un’immagine satellitare dell’Australia con dei puntini rossi per indicare i roghi, fatta da Anthony Hearsey.

Assieme alla fama social, sono arrivate però anche le critiche. L’immagine infatti è stata accusata di essere fuorviante (qui, qui e qui). In sintesi, il motivo principale delle accuse è che, sebbene sembri una fotografia satellitare da cui si vedono le zone bruciare, in realtà:

  • la mappa è un render (immagine digitale artificiale) e le zone rosse sono state create con effetti grafici, sulla base delle coordinate e del numero degli hotspot di roghi fornite dal servizio NASA FIRMS a seguito dell’elaborazione di dati satellitari;
  • le zone rosse non sono i roghi di un unico determinato giorno in cui è stata scattata la foto, ma riguardano tutte le zone colpite nell’ultimo mese (dal 5 Dicembre 2019 al 5 Gennaio 2020);
  • ogni punto si riferisce all’hotspot di uno o più eventi, ma non all’intera area colpita da quegli eventi.

Alla luce di questo, Massimo Mantellini ha scritto sul Post che “quella foto è, inoltre, un piccolo rovello filosofico. Perché contiene dati veri, ma suggerisce informazioni sbagliate. Perché, nella migliore delle ipotesi, presume una cultura da parte dell’osservatore che quasi mai questi potrà avere e, nella peggiore delle ipotesi, è stata costruita appositamente per far leva su quella mancanza”.

In realtà il vero rovello filosofico è se si possa parlare di dati veri – sarebbe meglio dire dati di fonte autorevole, ma qui si apre tutto un altro discorso che rimandiamo – ma soprattutto se è l’immagine in sé il problema, e non invece il modo in cui è circolata. Forse l’immagine così com’è presuppone “una cultura da parte dell’osservatore che quasi mai questi potrà avere”, ma questo si può dire per qualsiasi tipo di contenuto visivo lanciato sui social senza contesto o addirittura con descrizioni errate scritte da chi non è l’autore dell’immagine.

L’immagine di Hearseay non è l’unica ad essere stata usata in modo fuorviante, Buzzfeed cita altri esempi.

Il nocciolo del problema forse non è che l’immagine suggerisca informazioni sbagliate, ma il fatto che sia circolata senza rispettare uno dei capisaldi da rispettare nel produrre data visualization: usare elementi testuali, come titolo, note, indicazione fonti e annotazioni, per chiarire il messaggio. Proviamo ad applicare questa unica regola e l’immagine non può essere fraintesa (almeno per gli osservatori dotati di buona volontà).

Immagine spiegata e contestualizzata.

L’esempio è volutamente ricco di testo per scopi didattici, cioè per dimostrare i diversi modi possibili in cui si può integrare il testo in una data visualization: titolo, descrizione, annotazioni, note e fonti. Nella realtà, andrebbe sempre trovato un equilibrio tra impatto visivo d’effetto ed elementi esplicativi. La presenza degli elementi esplicativi dipende poi anche dal pubblico: agli australiani magari non serve far vedere dov’è il New South Wales o addirittura etichettare la zona; con un pubblico di esperti di data viz o di persone familiari alle immagini satellitari non c’è bisogno specificare che è un’immagine artificiale/render, visto che è abbastanza ovvio per un occhio allenato; chi ha già lavorato con dati NASA FIRMS immaginerà da solo che i puntini si riferiscono agli hotspot e non alle aree bruciate; e a un pubblico di grafici (come quello che probabilmente segue Anthony Hearsey sui social) magari interessa solo l’immagine per le sue qualità estetiche o per le doti tecniche necessarie a produrla, e il testo è solo un ingombro.

L’immagine nel suo contesto originario contiene grosso modo le indicazioni necessarie per decifrarla (anche solo la biografia dell’autore) ed è stata inizialmente condivisa per un pubblico ben specifico (i follower dell’autore) probabilmente più interessati all’esecuzione tecnica che a estrarre informazioni puntuali sui roghi. Il problema non è necessariamente l’immagine prodotta dall’autore, ma il fatto che sia circolata senza il contesto originario o, addirittura, con titoli e commenti falsi aggiunti da altri utenti.

Si può poi discutere se non ci siano altri modi di raccontare lo stesso evento, magari per raccontare dati più utili a utenti diversi e in base allo scopo della visualizzazione: una heatmap per restituire anche l’informazione sull’area delle zone bruciate nel corso dell’anno; una mappa in tempo reale delle zone da evitare perché stanno bruciando o che sono ad alto rischio di incendio; una mappa timelapse per mostrare la frequenza e distribuzione dei roghi nel corso di un anno o la concentrazione di monossido di carbonio; o anche grafici non spaziali, come un grafico a linee degli ettari bruciati ogni anno nell’ultimo secolo. Ma, qualsiasi sia la forma grafica scelta, la lezione che traiamo da quest’immagine virale è che, per creare una data visualization chiara e accessibile su argomenti complessi, difficilmente possiamo trascurare gli elementi testuali, sempre in funzione del pubblico a cui ci rivolgiamo.